La lettera di Toti all'avvocato: "La poltrona di presidente oggi è più un peso che un onore"
Giovanni Toti consegna una lettera al suo avvocato, Stefano Savi: "Vedo come una liberazione poter ridare la parola agli elettori", ma poi aggiunge "la presidenza di una Regione non è un bene personale. È un patrimonio collettivo"
Toti, all'indomani della decisione del Riesame di RESPINGERE l'istanza di revoca dei domiciliari, ha consegnato una lettera al suo avvocato Stefano Savi in cui, pregandolo di darne visibilità, parla della sua carica. "Vedo come una liberazione - scrive in un passaggio chiave - poter ridare la parola agli elettori".
PER ONORE DI CRONACA VI COMUNICHIAMO LA DICITURA DELLA LETTERA
Caro Avvocato,
Ti mando qualche riga, il mio pensiero dopo oltre due mesi di questa vicenda giudiziaria che, con grande professionalità, stai seguendo in mia difesa.
Ti prego di dare visibilità, come meglio riterrai opportuno, a questi miei pensieri. Su una cosa almeno siamo d’accordo con il Tribunale del Riesame: non esistendo il rischio di inquinamento delle prove, le mie parole non potranno turbare, in alcun modo, le indagini in corso.
D’altra parte sarebbe stato ben strano il contrario, anche se, per circa due mesi, si è detto anche questo.
La legislatura cominciata con le elezioni del 2020, vinte, con ampio consenso, per la seconda volta, dalla mia proposta politica, e’ stata di fatto un reality show, all’insaputa dei partecipanti.
Intercettazioni telefoniche, intercettazioni ambientali, telecamere negli uffici, pedinamenti. Nessuno è stato escluso. Quattro anni delle nostre vite documentate, dal tavolo del ristorante al colore della giacca.
Da tutta questa enciclopedica opera di controllo emerge una ipotesi di reato che ancora mi stupisce.
Emerge che il Comitato politico Giovanni Toti Liguria, che ha sostenuto le campagne elettorali di molti in Liguria, riceveva finanziamenti da soggetti privati. Soldi tracciati, regolari, iscritti dove la legge prevede, in entrata e in uscita. Raccolti in eventi pubblici, aperti alla stampa, di cui pure eravamo orgogliosi per il successo.
Emerge anche che mi sono interessato ad alcune pratiche che ritenevo importanti. La dove era legittimo, si è fatto. Dove non lo era, non si è fatto.
Quindi, soldi regolari, pratiche regolari. E allora quale è l’accusa? L’accusa è di essermene occupato: dal buon esito di quelle situazioni, se legalmente possibile, a mio avviso, dipendevano posti di lavoro e ricchezza per il territorio. Credo che ogni amministratore faccia lo stesso, quotidianamente.
Quelle pratiche in particolare oggi al centro delle accuse, riguardavano un finanziatore del nostro movimento politico. Un finanziatore da sempre, da prima che diventassi Governatore, da nove anni.
Ci ha sostenuto, come molte altre migliaia di persone in questi anni, quando era convinto delle nostre scelte e quando lo era meno, quando aveva pratiche aperte con la pubblica amministrazione e quando non le aveva. Sempre.
Lo ha sempre fatto perché riteneva, fortunatamente come molti altri, che la nostra politica fosse migliore delle alternative, che la nostra attenzione e sensibilità verso il mondo dell’impresa fosse di vantaggio a chi investe. A lui, e non solo a lui.
Quelle pratiche, in realtà, non riguardavano solo lui. Riguardavano per molti aspetti l’intero porto, molti soggetti chiamati ad investire a Genova nei prossimi anni per accrescere la competitività del nostro scalo in una ottica europea. In un ottica di costante dialogo e confronto tra il pubblico e molti soggetti privati. Un racconto che, ad oggi, le carte dell’inchiesta non raccontano da tutte le angolature, ma solo da un unica prospettiva.
Ora, io ho sempre pensato che sarebbe stato scorretto, al limite anche un reato, trattare in modo diverso le persone a seconda che ti avessero finanziato oppure no. Tra chi ti avesse votato oppure no.
Compiere un reato, turbare la concorrenza, o anche solo agire scorrettamente trattando una persona con le stesse modalità di tutte le altre, e’ una ipotesi che va contro la logica.
Dalla mole di materiale raccolto il quattro anni non sarebbe stato difficile, spero si possa fare in giudizio, quando ci sarà, verificare che la stessa attenzione riservata alle pratiche oggetto dell’inchiesta l’abbiamo riservata a tutti coloro che facevano impresa in Liguria. Non scrive la verità chi sostiene una nostra attenzione particolare per Aldo Spinelli e le sue imprese. Gli stessi pranzi, le stesse telefonate, gli stessi viaggi per incontrarli, gli stessi interessamenti sono stati riservati a tutti coloro che lavoravano ed investivano nel nostro territorio.
A prescindere che fossero finanziatori o meno, sostenitori politici o meno. A prescindere da tutto, tranne la loro volontà di investire.
Il materiale raccolto in quattro anni lo potrà ben dimostrare, ma sfido a trovare un imprenditore che lamenti la nostra mancata attenzione o sollecitudine per un suo problema.
E tanti sono venuti ad investire in Liguria proprio per questa nostra attitudine.
Ma non voglio spendere qui parole a difesa della Liguria che abbiamo costruito. Chi la frequentava per diletto, lavoro o investimento prima della tragedia del Ponte Morandi, e la frequenta oggi, credo abbia ben chiara la strada che si è fatta e quanto si è costruito.
Come chiara ce l’hanno i Liguri che ci hanno confermato tante volte la fiducia.
Ora, per tranquillizzare i Giudici del Riesame, che ritengono io non abbia capito il reato commesso e dunque lo possa reiterare, vorrei essere chiaro: ho capito benissimo cosa mi viene addebitato.
Per i magistrati sarebbe reato essermi interessato ad un pratica, pure se regolare, perché interessava ad un soggetto che ha versato soldi al nostro movimento politico, pure se regolarmente.
Che, per paradosso, vuol dire che se mi fossi interessato alla stessa pratica di un imprenditore che non ci ha mai sostenuto, non sarei stato corrotto. E se l’imprenditore avesse finanziato un movimento politico di cui così poco stimava la politica e i leader, tanto da non parlargli neppure dei suoi progetti, non sarebbe stato un corruttore.
Mi si perdoni, ma pur capendo, non sono d’accordo. Pur avendo confermato ai magistrati punto per punto quanto accaduto, senza nascondere nulla. E tuttavia la reiterazione di quel reato resta impossibile.
Mi è perfettamente chiaro infatti che è di questo che sono accusato, e, ovviamente, pur non essendo d’accordo con la accusa, evidentemente eviterei di farmi accusare nuovamente della stessa cosa.
Se lo facessi, caro Avvocato, offrirei alla tua difesa un opportunità in più: quella di chiedere la non punibilità per infermità di mente.
Ma immaginate che in attesa di sapere come un Tribunale giudicherà tutto questo, reato o legittima azione politica, immaginate che una persona sana di mente possa ripetere la stessa azione per la quale si trova ai domiciliari? Con quattro anni di inchiesta alle spalle?
E immaginate un imprenditore che, vedendo Toti sul ciglio della strada, possa fermarsi a chiedere anche solo una informazione stradale?
Mi sembra francamente una ipotesi impossibile. Impossibile perché sarebbe una azione autolesionistica contro la logica. Impossibile perché, con la notorietà e il clamore dell’inchiesta, qualsiasi imprenditore di guarderebbe bene dal fare una richiesta, pur legittima. Impossibile, anche astrattamente, perché ogni reiterazione sarebbe immediatamente scoperta.
Eppure è per questo che sono ai domiciliari: perché, pure confinato nel paesino di Ameglia, sospeso dalla carica, per il solo fatto di poterla ancora un giorno ricoprire, ormai per poco tempo per la verità, potrei nuovamente interessarmi ad altre pratiche e un imprenditore potrebbe donarci dei soldi. Tutto alla luce del sole, perché non risulta un solo euro non tracciato. Vi sembra possibile?
Sarà giustizia, caro Avvocato, ma non la percepisco come tale. Perché ricordiamoci sempre, nessuno è stato ancora condannato, nessuno sta scontando una pena. Parliamo di limitazioni alla libertà precedenti ad ogni giudizio.
Tant’è, cosa fare oggi? Questa è la domanda che mi faccio e che leggo quotidianamente nel dibattito che circonda l’inchiesta.
E a cui non voglio sfuggire. E’ chiaro che oggi per me la poltrona di Presidente è maggiormente un peso che un onore. Forse sarebbe stato più facile, fin da subito, sbattere la porta, con indignazione, al solo sospetto mosso sul mio operato.
Nella mia vita ho cambiato tante volte, non mi spaventa personalmente rinunciare ad un ruolo a cui pure sono legato, per i risultati che rivendico e a cui ho dedicato ogni singolo minuto degli ultimi nove anni, sacrificando affetti e amici.
Ho fatto nella mia vita, partendo da un piccolo paese, il giornalista, l’inviato, il Direttore di due telegiornali nazionali, il dirigente d’azienda, l’Eurodeputato. Non mi sono mancate le soddisfazioni personali. La mia famiglia vive oggi esattamente come viveva nove anni fa, stessa casa stesso lavoro. Il conto umano è in pareggio, la gratificazione per quello che gli elettori liguri mi hanno consentito di fare, dal Ponte San Giorgio in poi, e’ enorme.
Vedo come una liberazione oggi poter ridare la parola agli elettori, perché sono certo che sapranno giudicare quello che è stato fatto fino ad oggi e sceglieranno per continuare a vivere e lavorare in una Liguria libera, che guarda al futuro con ottimismo, che premia l’intraprendenza, che rivendica un ruolo in Italia.
E deluderanno chi, sciacallescamente, dimenticato ogni principio giuridico civile, cavalcando sospetto, odio ed invidia sciale, agogna a rinquistare un ruolo, sull’onda delle carte bollate e non dei programmi.
Non vedo l’ora, ma la Presidenza di una Regione non è un bene personale. E’ un patrimonio colletivo. Di chi l’ha votata, di chi l’ha sostenuta, di coloro che si sono spesi per una avventura politica. Ho sperato, e spero ancora, che giustizia e politica possano rispettare i propri ruoli e le proprie prerogative. Che, mentre i Pm legittimamente indagano, la politica, con le sue regole, i suoi riti, le sue aule, possa fare le proprie considerazioni per il bene comune.
Sembrano regole astratte, ma si chiamano Democrazia.
Nei prossimi giorni, con il permesso dei magistrati, tornerò ad incontrarmi con gli amici del mio movimento politico, gli alleati, e tutti coloro che potrò vedere per parlare di futuro. E le scelte che faremo saranno prima di tutto per il bene della Liguria a cui oggi tutta l’Italia dovrebbe guardare con grande attenzione.
Per ora resto qui, nella casa di Ameglia. Orgoglioso della consapevolezza di essere meno ricco di quando ho cominciato a fare politica, meno libero, ma di aver contribuito a costruire una Liguria più ricca e più libera. Che gli elettori, al momento opportuno, sapranno conservare.